Aree edificabili in cammino verso l’incostituzionalità

20 ottobre 2008

Era inevitabile che la nozione di aree edificabili ai fini dell’Ici (e di tutte le altre imposte) finisse davanti alla Corte Costituzionale. La questione è stata sollevata dalla Commissione tributaria regionale del Lazio (30 agosto 2006, in Gazzetta Ufficiale n. 18/2007, p. 103) impugnando la legge Finanziaria per il 2006 (Dl n. 203/2005, articolo 11-quaterdecies) e il Dl 223/2006 (articolo 36, comma 2), per la formula da entrambe utilizzata secondo la quale «un’area è da considerarsi fabbricabile se utilizzabile a scopo edificatorio in base allo strumento urbanistico generale adottato dal Comune, indipendentemente dall’approvazione della Regione e dall’adozione di strumenti attuativi del medesimo». L’articolo 36 citato era già stato valorizzato dalla Cassazione (Sezioni Unite n. 25506/2006) sia pure indispettita dall’abuso dell’interpretazione autentica in materia tributaria, sempre a favore del fisco, e dalla violazione dell’articolo 111 della Costituzione che presuppone una parità delle parti nel processo «posto che nella specie l’amministrazione ha avuto il privilegio di rivestire il doppio ruolo di parte in causa e di legislatore». Ma in quella sentenza la Corte non sollevò neppure la questione di costituzionalità, perché l’intepretazione autentica contenuta nell’articolo 36 coincideva con quella che autonomamente essa avrebbe poi dato. Va detto qui, incidentalmente, che l’articolo 36 ha portata generale, in quanto, in altri commi, si riferisce espressamente alle norme impositive di tutte le altre imposte diverse dall’Ici. La Commissione regionale romana, fondandosi sul verbo “si interpreta”, ritiene le disposizioni degli articoli citati interpretative, ed idonee ad evitare dubbi sulla nozione di area fabbricabile; ma tale interpretazione ha voluto, secondo il giudice romano, anche stabilire una più alta base imponibile e una certezza nei rapporti tributari. Ciò premesso, la Commissione ha ritenuto d’ufficio la nuova formulazione delle leggi citate incostituzionale per violazione degli articoli 53 e 3 della Costituzione, nonché dei principi di razionalità e ragionevolezza (che sono peraltro da riferire all’articolo 3). La motivazione è questa. L’Ici è imposta patrimoniale, dove il reddito può essere solo parametro, tanto è vero che per le aree fabbricabili la base imponibile è data dal valore venale in comune commercio, il quale si realizza solo nella utilizzazione patrimoniale. Sotto questo profilo la capacità contributiva invocata dall’articolo 36 non sarebbe conforme al principio di capacità contributiva scritto nell’articolo 53 della Costituzione, che deve essere verificato nei suoi presupposti di fatto e di diritto. La discrezionalità politica del legislatore nella scelta delle basi imponibili deve rispettare i principi della logica, della congruenza e della non contraddizione. L’illogicità della normativa in esame sarebbe nella equiparazione di un terreno sito in zona di strumento attuativo ad un terreno sito in zona ritenuta solo edificabile dal piano regolatore generale. Ed ecco la definizione di terreno edificabile formulata dalla Commissione romana: «È quel terreno sul quale è possibile, legittimamente, costruire un immobile, secondo i parametri di volume e superficie, stabiliti dallo strumento attuativo. A ben vedere, anzi, edificabile dovrebbe essere considerato solo il terreno per il quale sia stato rilasciato un permesso di costruire determinato. Solo in tale caso è stato infatti rimosso l’impedimento allo jus aedificandi e sono state definite le caratteristiche dell’immobile da costruire, con ciò dando piena concretezza all’edificabilità e quindi al valore del terreno stesso. È noto infatti come, secondo la scienza dell’estimo, il valore di un terreno edificabile è correlato alla effettiva cubatura che si possa realizzare, ma questa non deriva solo dalla astratta previsione del Prg, dello strumento attuativo o dei regolamenti edilizi, ma anche dalla prassi concreta seguita dall’Amministrazione comunale, dalla interpretazione della giurisprudenza, in ultima analisi dall’effettiva giustezza dell’opera realizzata». A questa concezione della Commissione del Lazio si contrappone quella secondo la quale l’incremento di valore del suolo è quello percepibile già dal momento in cui astrattamente è possibile costruire, in quanto il mercato riconosce tale aspettativa di edificabilità, con un progressivo aumento del valore del terreno man mano che l’iter amministrativo avanza (Cassazione Sezioni Unite n. 25506/2006). D’altra parte sembra questa la concezione costante dell’ordinamento fin dalla legge sull’imposta sulle aree fabbricabili. Ammette la Commissione laziale che edificabilità è potenzialità, ma questa deve essere legata all’atto amministrativo da un legame di consequenzialità diretto, che non ricorre invece con la sola presenza del piano regolatore. La norma viene censurata anche sotto il profilo della parità di trattamento, in quanto vengono trattate allo stesso modo situazioni diverse, una disparità che non deriva dalla situazione di fatto ma da atti formali. Si ha inoltre un trattamento difforme in funzione o meno di uno strumento amministrativo.