Ipoteche, ecco i tipi esistenti: volontarie, giudiziarie, legali.

24 Maggio 2009

Ipoteche, ecco i tipi esistenti: volontarie, giudiziarie, legali. 

Esistono diversi tipi d’ipoteche: si tratta delle ipoteche volontarie, giudiziarie, legali.

La più diffusa è certamente l’ipoteca volontaria: si tratta infatti di un’iscrizione volontaria dell’ipoteca come garanzia di un debito da parte del proprietario stesso.

L’ipoteca volontaria si sottoscrive volontariamente per ottenere la concessione del prestito.

Nel caso in cui il bene dovesse essere cointestato, ognuno dei proprietari potrà decidere sull’iscrizione della sua parte di bene.

Generalmente le banche non tendono ad acquisire come garanzia ipotecaria delle quote indivise poiché in caso di vendita forzata sarebbe sempre difficile trovare dei compratori interessati alle quote comuni.

 
Passiamo all’ipoteca giudiziaria: si tratta in tal caso di un tipo d’ipoteca che viene decretata da un giudice conseguentemente alla richiesta di un creditore non rimborsato anche di un debito di basso importo, come anche una fattura impagata o un decreto ingiuntivo.
L’ipoteca legale, la tipologia meno diffusa per la verità, che si va ad iscrivere quando il venditore non è riuscito a ricevere l’intera somma corrispondente al bene venduto.
L’ipoteca legale può anche verificarsi nel caso in cui i coeredi, successivamente all’atto di divisione, lascino dei pagamenti di conguaglio ancora in sospeso.
In tal caso l’ipoteca legale viene iscritta direttamente dal Conservatore di Registri immobiliari, a meno che il beneficiario della tutela del’ipoteca non dichiari la sua reale volontà di rinunciarvi.

Generalmente le banche non tendono ad acquisire come garanzia ipotecaria delle quote indivise poiché in caso di vendita forzata sarebbe sempre difficile trovare dei compratori interessati alle quote comuni.

Passiamo all’ipoteca giudiziaria: si tratta in tal caso di un tipo d’ipoteca che viene decretata da un giudice conseguentemente alla richiesta di un creditore non rimborsato anche di un debito di basso importo, come anche una fattura impagata o un decreto ingiuntivo.

L’ipoteca legale, la tipologia meno diffusa per la verità, che si va ad iscrivere quando il venditore non è riuscito a ricevere l’intera somma corrispondente al bene venduto.

L’ipoteca legale può anche verificarsi nel caso in cui i coeredi, successivamente all’atto di divisione, lascino dei pagamenti di conguaglio ancora in sospeso.

In tal caso l’ipoteca legale viene iscritta direttamente dal Conservatore di Registri immobiliari, a meno che il beneficiario della tutela del’ipoteca non dichiari la sua reale volontà di rinunciarvi.


Immobili nel rogito con il doppio valore

14 Maggio 2009

Dal 1° gennaio 2006 l’imposta di registro ha voltato pagina e si apre dunque uno scenario prima sconosciuto, quello del rogito in cui sono dichiarati due importi: il prezzo effettivamente pattuito (che diviene fiscalmente irrilevante sotto il profilo della tassazione indiretta) e il valore catastale del bene (che costituisce ora l’importo su cui applicare l’aliquota d’imposta).

La base imponibile dei trasferimenti di abitazioni tra privati infatti non fa più riferimento al prezzo del bene trasferito (o al suo valore venale, se superiore), ma al suo valore catastale (quello cioè che si ottiene moltiplicando la rendita catastale per determinati coefficienti di aggiornamento).Ad esempio, nella compravendita di un appartamento con rendita catastale di 634,92 euro nella quale si dichiara un prezzo di 300mila euro, a richiesta dell’acquirente la tassazione va operata non più prendendo a riferimento il prezzo (caso nel quale – senza agevolazioni – le imposte di registro, ipotecaria e catastale sarebbero pari a 30mila €) ma il valore catastale (e cioè 634,92 x 126 = 80.000), con il risultato che l’ammontare da pagare in sede di registrazione risulta essere – sempre senza agevolazioni – di 8mila euro (5.600 euro per imposta di registro, 1.600 per l’ipotecaria e 800 per la catastale).

Le esclusioni.

La nuova norma però si applica solo nel caso in cui si tratti di «cessioni fra persone fisiche che non agiscano nell’esercizio di attività commerciali, artistiche o professionali». Pertanto, ove all’atto intervengano (dal lato della parte venditrice o da quello dell’acquirente) soggetti diversi la nuova norma non si può applicare e la tassazione andrà operata con le regole “tradizionali” (cioè base imponibile uguale al prezzo o, se superiore, al valore del bene). La nuova norma inoltre non riguarda qualsiasi tipologia edilizia, ma concerne esclusivamente gli «immobili ad uso abitativo e relative pertinenze» (ne sono quindi esclusi uffici, negozi, opifici, terreni, eccetera): pertinenze “classiche” delle abitazioni sono il garage, la cantina e il solaio, ma può pensarsi anche a pertinenze meno frequenti, come i locali di deposito (spesso ricorrenti nelle abitazioni ex rurali) o la chiesetta annessa a una villa di campagna.

Le plusvalenze.

La Finanziaria 2006 contiene infine una rilevante novità anche per la tassazione di alcune plusvalenze realizzate da privati nella vendita di beni immobili, alle quali d’ora innanzi potrà essere applicata, al posto dell’imposizione che normalmente si opererebbe (si tratta, a seconda dei casi, di un reddito che va a comporre l’ordinario imponibile Irpef oppure che è soggetto alla cosiddetta tassazione separata), un’imposta sostitutiva del 12,5 per cento. Le plusvalenze interessate dalla nuova imposta sostitutiva sono quelle che si realizzano: se viene venduto un bene acquistato (o costruito) da meno di 5 anni (a meno che non si tratti di un bene proveniente per successione o per donazione oppure di una casa che, per la maggior parte del periodo tra acquisto è vendita è stata adibita ad abitazione del contribuente): in tal caso costituisce reddito per il cedente la differenza tra il prezzo incassato e il costo di acquisto o di costruzione; se viene venduta un’area edificabile: anche qui costituisce reddito per il privato venditore la differenza tra il prezzo di vendita e il costo di acquisto.


TARSU: L’ALTEZZA TASSABILE STABILITA DAI COMUNI

4 Maggio 2009

da: ilsole24ore.it

Per la tassa dei rifiuti, oltre alla superficie dell’abitazione, si deve indicare anche quella dei locali interrati alti 2,14 metri e condonati nel 1997 e quella della cantina?

L’articolo 62 del Dlgs 15 novembre 1993, n. 507, dispone che «non sono soggetti alla tassa i locali… che non possono produrre rifiuti o per la loro natura o per il particolare uso cui sono stabilmente destinati o perché risultino in obiettive condizioni di non utilizzabilità nel corso dell’anno, qualora tali circostanze siano indicate nella denuncia originaria o di variazione e debitamente riscontrate in base ad elementi obiettivi direttamente rilevabili o ad idonea documentazione».Locali di altezza inferiore a determinati standard (ora: metri 2,80) non possono, in genere, considerarsi idonei alla vita familiare, e sono pertanto esclusi da imposizione. Ma spesso i regolamenti comunali prevedono espressamente le altezze al di sotto delle quali la superficie non si considera tassabile. Il lettore, pertanto, può rivolgersi al comune e chiedere una copia del regolamento sulla tassa.L’articolo 70 del medesimo decreto, al comma 3, stabilisce che, indipendentemente dalla superficie dichiarata, quella da iscrivere a ruolo non può essere inferiore all’80% della superficie catastale, rilevabile da apposito certificato. Anche sulla base di questa disposizione, il lettore potrà ricavare elementi utili ai fini della superficie da denunciare, fermo restando l’obbligo di indicare nella denuncia i locali che — in ragione della loro modesta altezza — non sono imponibili.