LOCAZIONI: NELL’F23 SI INDICA L’ANNO DI REGISTRAZIONE

24 ottobre 2008
   

Nel campo 10 del modello F23 devo indicare l’anno in cui è stato registrato il contratto di locazione o l’anno in cui pago l’imposta di registro? Esempio, contratto registrato nel 2003, nel 2007 devo pagare l’imposta di registro; nel campo 10 devo scrivere 2003 o 2007?


Le istruzioni alla compilazione del modello F23 specificano che, quando si tratta di «contratti di locazione per annualità successive alla prima», nel campo 10 va indicato «l’anno di registrazione», oltre agli «estremi dell’atto (serie e numero di registrazione, separati da un barra)».Quindi, il lettore dovrà riportare l’anno “2003” (quello della registrazione del contratto), e non il “2007” (annualità per la quale corrisponde l’imposta).

 

 

 


Ici, debutta il pagamento con l’F24

21 ottobre 2008

Come previsto dal Decreto Bersani (legge 248/2006, art. 37, commi 13-14), entro il 18 giugno i contribuenti dovranno versare il primo acconto Ici per il 2007 (il cui saldo dovrà essere versato tra l’1 e il 17 dicembre) o potranno effettuare l’intero pagamento. I versamenti potranno essere effettuati mediante i bollettini di conto corrente postale, da pagare anche presso gli sportelli delle concessionarie di riscossione tributi, le quali in alcuni casi hanno attivato modalità di pagamento via Internet (la Gest Line a Napoli mediante il sito http://www.gestline.it e la Serit a Palermo sul sito http://www.mpserit.it). E da quest’anno sarà possibile pagare anche l’Ici con il modello F24, così da poter compensare i debiti di tale imposta con i crediti di altri tributi erariali. A Napoli, dove l’aliquota per l’abitazione principale è del 5.4‰ con detrazione di 154,94 euro e l’aliquota ordinaria del 7‰, le dichiarazioni Ici dovranno essere presentate entro il 31 luglio presso gli uffici comunali. Il gettito previsto è pari a 169,4 milioni. A Palermo l’Ici per l’abitazione principale è del 4.8‰ con detrazione pari a 103,29 euro, che viene maggiorata a 154,94 euro per gli anziani a basso reddito. Per godere dell’agevolazione dovranno presentare istanza entro il 31 luglio. Il gettito Ici previsto è di circa 60 milioni. Nel Comune di Bari, che prevede un gettito Ici di 81,480 milioni, l’aliquota ordinaria è del 7‰ e quella per l’abitazione principale del 4.25‰ con una detrazione di 103,29 euro che sale a 206,58 euro per numerose categorie deboli. Tra le modalità di pagamento previste c’è il sistema Taxtel, che consente di utilizzare la carta di credito attraverso il sito http://www.taxtel.it o chiamando il numero verde 199.191.191. A Catanzaro, dove l’aliquota per la prima casa è stata portata dal 5.5‰ al 5‰ con una detrazione di 103,29 euro e l’aliquota ordinaria è del 7‰, è previsto un gettito di 7,5 milioni. Le dichiarazioni di variazione dovranno essere presentate entro il 30 giugno, se la dichiarazione dei redditi è presentata in banca o presso le Poste, entro 31 luglio se la dichiarazione dei redditi viene fatta per via telematica. È stata fissata al 17 dicembre la scadenza entro cui si dovranno presentare al Comune di Potenza le dichiarazioni Ici e la documentazione per poter usufruire dell’aliquota al 3‰ per le case affittate a canone concordato secondo la legge 431/98 a inquilini con contratti triennali e a studenti universitari con contratti di oltre sei mesi (per le case non affittate per almeno due anni la cui aliquota è del 9‰). A Potenza l’aliquota ordinaria è del 7‰, quella per la prima casa del 5‰ e il gettito previsto è pari a 6 milioni.


Casa, tre imposte nella service tax

13 ottobre 2008

da ilsole24ore

L’Ici sulla prima casa non verrà reintrodotta. Ai Comuni verrà destinato il gettito della nuova “service tax”, secondo la terminologia tremontiana, o tassa per i servizi, come preferisce chiamarla Roberto Calderoli. Sono i due principi che potrebbero trovare ingresso nella nuova “bozza” con cui il ministro per la Semplificazione spera di spazzare le polemiche che hanno attraversato la maggioranza negli ultimi giorni. E che hanno provocato «l’irritazione» della Lega come è emerso nell’incontro di ieri presso la sede milanese di Via Bellerio alla presenza di Umberto Bossi.
In vista della dead line di giovedì, quando Calderoli incontrerà una rappresentanza dei governatori e porterà il testo del Ddl in Consiglio dei ministri per un esame preliminare – almeno stando a quanto dichiarato dal suo collega dell’Interno, Roberto Maroni, che ha poi definito il federalismo «una vera e profonda riforma dello Stato» –, i contorni del provvedimento si fanno più definiti. A partire dalla futura tassa sulla casa. Che non sarà più l’unica forma di prelievo immobiliare, come annunciato in un primo momento, ma che resterà comunque la principale fonte di gettito per i municipi.
A rientrarvi dovrebbero essere l’Ici sulla seconda casa o sulle altre tipologie di immobili per cui oggi viene versata – mentre la prima casa continuerà a essere esente come ha ricordato anche ieri il sindaco di Milano Letizia Moratti –, la quota di Irpef sui redditi fondiari e l’imposta ipotecaria e catastale. Che, tradotto in termini di gettito, significherebbe circa 18 miliardi di euro destinate a finanziare le funzioni fondamentali dei Comuni. Continuerebbe a vivere di vita propria, invece, quella di registro. In attesa magari di essere destinata alle Città metropolitane (che saranno nove visto che verrà eliminato il limite di 350mila abitanti fissato in origine e che escludeva Venezia e Bari).
Per legare l’imposizione alle prestazioni erogate, come più volte ribadito da Calderoli, il nuovo tributo potrebbe prendere in considerazione non solo il valore dell’immobile ma anche il numero di soggetti che materialmente usufruiscono dei servizi pubblici.
La “service tax”, intanto, ha attirato anche l’attenzione del Pd. Espressa tramite i dubbi dell’ex vicepremier Francesco rutelli che al Tg1 ha chiesto «che tassa è» e «chi la paga». O le critiche del capogruppo al Senato, Anna Finocchiaro, che la definita «una tassa erga omnes, che verrà pagata da tutte le famiglie, non solo da quelle proprietarie di immobili».
Giovedì se ne dovrebbe sapere di più anche sulla partita più grossa in chiave di federalismo fiscale: quale tributo sarà devoluto alle Regioni per coprire integralmente le spese per assistenza, istruzione e sanità. Dopo che il ministro Raffaele Fitto ha respinto la possibilità che passi dal centro alla periferia tutto o gran parte del gettito Irpef, si riparte dal punto di partenza: l’intera Irap più compartecipazione e addizionale Irpef (nella quota più corposa possibile) e compartecipazione all’Iva. In attesa di capire come e quando sostituire l’Irap.
Regioni che, dal canto loro, dovranno farsi carico della parte più sostanziosa della riforma. Cioè cominciare a ragionare in termini di costi standard e non più di spesa storica. Una scelta che, come dimostrato da una simulazione elaborata dal Centro studi Sintesi e pubblicata sul Sole-24 Ore di ieri, dovrebbe significare tagliare le uscite in media del 15 per cento. Ma a cui i governatori, sia del Nord che del Sud, si dicono pronti.
Ribadendo di aver trovato «una situazione di partenza drammatica» e confidando di aspettarsi «anni difficilissimi davanti», il presidente della Regione Calabria (dove la riduzione dovrebbe essere del 24,4%), Agazio Loiero, si dice certo che la sua amministrazione farà la propria parte. Ad esempio applicando alla lettera il «piano sanitario di lacrime e sangue» che è stato varato di recente.
Ma pronto è anche il Veneto, dove il gap tra spesa storica e costi standard è del 9,1 per cento. «Sapremo dove tagliare», assicura il presidente Giancarlo Galan. Che ne approfitta per chiedere al ministro Calderoli di «fare le cose più semplici possibili» . E cioè «impostare la riforma sull’asse Stato-Regioni». Da un lato, eliminando le Province, perché «più si moltiplicano i soggetti più la vedo male»; dall’altro, tenendo dentro i territori a statuto speciale. Preoccupandosi, infine, di fare presto. «Che riforma è una riforma che dura 10 anni?», è la provocazione di Galan.


Il Governo: niente Ici per i fabbricati rurali

9 ottobre 2008

da ilsole24ore

Niente Ici sui fabbricati rurali. Rispondendo a un’interrogazione in aula alla Camera, ieri il ministro per l’Attuazione del programma, Gianfranco Rotondi, ha spiegato che il Governo si adopererà per evitare che la tassazione possa colpire i fabbricati considerati ancora rurali. Anche se con alcune cautele – come il rinvio a una necessaria considerazione complessivo dato il carattere fiscale dell’argomento e la formula iniziale poco impegnativa dell’auspicio – il Governo è chiaramente intenzionato a «risolvere la questione», come emerge dalla risposta del ministro (si veda il testo riprodotto qui accanto).
Rotondi prende esplicitamente come riferimento la circolare dell’ Anci Emilia-Romagna (si veda «Il Sole-24 Ore» del 30 settembre 2008) con la quale l’assoggettamento dei fabbricati rurali all’Ici veniva riconosciuto a partire dalla giurisprudenza della Corte di cassazione. Questa, da ultimo con la sentenza 23596 del 15 settembre 2008, aveva afferamato che esclusi dall’Ici sono solo i fabbricati rurali privi di rendita catastale. Per cui i Comuni dell’Emilia-Romagna venivano invitati a recuperare l’Ici, senza però irrogare le sanzioni.
Secondo le precisazioni del ministro, interventi come quello dell’Anci Emilia-Romagna «pur non avendo rilevanza giuridica prefigurano una interpretazione della normativa fiscale fortemente penalizzante per gli imprenditori agricoli».
Due gli elementi sui quali si fonda la presa di posizione dell’Esecutivo: un’interpretazione come quella indicata dall’Anci muterebbe criteri di applicazione oramai pluriennali dell’imposta comunale; in questo modo si finirebbe per rendere soggetto a Ici un’immobile, quello rurale, la cui rendita è già considerata nel reddito dominicale dei terreni.
Quanto all’esclusione per il passato dell’applicazione del l’Ici, Rotondi ha ricordato che nella circolare 7 del 2007 dell’agenzia del Territorio era stato già precisato che «l’attribuzione di una rendita catastale a un fabbricato rurale assume rilevanza fiscale solo se il fabbricato perde il carattere di ruralità».

L’interrogazione era stata presentata dal Siegfried Brugger, del Gruppo Misto-Minoranze linguistiche, che aveva chiesto l’intervento del Governo per la situazione determinatasi dopo le sentenze della Cassazione per le quali i fabbricati in questione non sono tra quelli esclusi dalla tassazione ai fini Ici. Lo stesso Brugger aveva ricordato come, a seguito di questa giurisprudenza, l’Anci Emilia-Romagna avesse invitato i «Comuni a procedere alla notifica degli avvisi di accertamento indistintamente per tutti i fabbricati rurali, sia che siano iscritti nel Catasto fabbricati, sia che siano inseriti nel Catasto terreni e dunque, in base alla legislazione attuale, per legge vigente esenti dall’Ici». Il deputato trentino, però, aveva sostenuto che probabilmente servirà comunque «un’interpretazione anche dal punto di vista legislativo, che garantisca che i beni strumentali di imprese agricole individuali e delle cooperative siano comunque esenti da Ici».
Ora si porrà la questione per il Governo – una volta manifestata l’intenzione di risolverla – dello strumento da adottare. Se cioè si riterrà sufficiente un intervento dal punto di vista interpretativo, attraverso magari una nuova precisazione dell’agenzia del Territorio, oppure con una interpretazione da inserire in un testo normativo. La Cassazione ha infatti più volte spiegato che le circolari dell’amministrazione non hanno valore vincolante e quindi a fronte di una giurisprudenza che si va consolidando nel senso dell’imponibilità, nuovi chiarimenti potrebbero risultare insufficienti.


Confedilizia: VICINO ALLE CASE NON SI PUO’ CACCIARE

15 settembre 2008

La Confedilizia evidenzia – in considerazione del disturbo che l’esercizio della caccia arreca a chi abita in case di campagna – che l’esercizio venatorio è vietato – tra l’altro – nei giardini, nei parchi pubblici e privati, nei parchi storici e archeologici e nei terreni adibiti ad attività sportive (art. 21, lett. a), legge n. 157/’92) e nelle aie e nelle corti o altre pertinenze di fabbricati rurali, nelle zone comprese nel raggio di cento metri da immobili, fabbricati e stabili adibiti ad abitazione o a posto di lavoro e a distanza inferiore a 50 m. da vie di comunicazione ferroviaria e da strade carrozzabili, eccettuate le strade poderali ed interpoderali (norma predetta, lett. e)).

E’ pure vietato sparare da distanza inferiore a 150 m. con uso di fucile da caccia con canna ad anima liscia, o da distanza corrispondente a meno di una volta e mezza la gittata massima in caso di uso di altre armi, in direzione di immobili, fabbricati e stabili adibiti ad abitazione o a posto di lavoro; nonché di vie di comunicazione ferroviaria e di strade carrozzabili, eccettuate quelle poderali e interpoderali (norma precitata, lettera f)).

Le violazioni al divieto di cui alla lettera a) sopra indicata sono punite con l’arresto sino a 6 mesi e con l’ammenda da 464 euro a 1549, oltre che con il sequestro delle armi e – in caso di condanna – con la loro confisca e la sospensione del porto di fucile. Le violazioni ai divieti di cui alle lettere e) ed f) pure precitate, sono punite con il pagamento di 206 euro (se eseguito entro 60 giorni dalla contestazione).

A norma dell’art. 12, comma 2, della legge sulla caccia, «costituisce esercizio venatorio ogni atto diretto all’abbattimento o alla cattura di fauna selvatica mediante l’impiego dei mezzi» consentiti (fucile, nei tipi leciti). A tenore del comma 3 della stessa norma, «è considerato altresì esercizio venatorio il vagare o il soffermarsi con i mezzi destinati a tale scopo o in attitudine di ricerca della fauna selvatica o di attesa della medesima per abbatterla».

Ove l’esercizio venatorio sia finalizzato al compimento di altri reati (ad accertare, ad esempio, le abitudini di vita degli abitanti delle case di campagna, specie se isolate), i colpevoli incorrono nei relativi reati, tentati o consumati.


La valutazione immobiliare

11 settembre 2008

da www.ilsole24ore.com

Le profonde innovazioni e i radicali mutamenti che si stanno registrando nel campo della valutazione immobiliare, accompagnate da seppur lenti, inesorabili passaggi regolamentari e legislativi, impongono a tutti gli operatori del mercato immobiliare, valutatori professionisti in testa, il dover mutare il loro modo di operare le stime nei diversi settori bancario, contabile, giudiziario, assicurativo e privato.
In verità, da sempre, il panorama delle valutazioni immobiliari in Italia è stato fortemente in contrasto con quello degli altri Paesi, avanzati, USA e Inghilterra su tutti, rivelando una arretratezza sia nei metodi di stima sia nell’analisi del mercato immobiliare.
Il forte impulso che si sta registrando da qualche anno nel mercato europeo, dovuto in particolare nella necessità della circolazione di beni, della crescente internazionalizzazione delle società, dell’entrata in vigore di norme contabili e bancarie, sta portando sempre più lo strumento della valutazione immobiliare a fondersi nel mercato finanziario e a divenire essenziale nei processi di valutazione del rischio bancario e della contabilità sulla base delle norme internazionali. Ciò determinerà inesorabilmente una nuova presa di coscienza da parte dei professionisti coinvolti a vario modo nelle operazioni estimative.