Confedilizia: VICINO ALLE CASE NON SI PUO’ CACCIARE

15 settembre 2008

La Confedilizia evidenzia – in considerazione del disturbo che l’esercizio della caccia arreca a chi abita in case di campagna – che l’esercizio venatorio è vietato – tra l’altro – nei giardini, nei parchi pubblici e privati, nei parchi storici e archeologici e nei terreni adibiti ad attività sportive (art. 21, lett. a), legge n. 157/’92) e nelle aie e nelle corti o altre pertinenze di fabbricati rurali, nelle zone comprese nel raggio di cento metri da immobili, fabbricati e stabili adibiti ad abitazione o a posto di lavoro e a distanza inferiore a 50 m. da vie di comunicazione ferroviaria e da strade carrozzabili, eccettuate le strade poderali ed interpoderali (norma predetta, lett. e)).

E’ pure vietato sparare da distanza inferiore a 150 m. con uso di fucile da caccia con canna ad anima liscia, o da distanza corrispondente a meno di una volta e mezza la gittata massima in caso di uso di altre armi, in direzione di immobili, fabbricati e stabili adibiti ad abitazione o a posto di lavoro; nonché di vie di comunicazione ferroviaria e di strade carrozzabili, eccettuate quelle poderali e interpoderali (norma precitata, lettera f)).

Le violazioni al divieto di cui alla lettera a) sopra indicata sono punite con l’arresto sino a 6 mesi e con l’ammenda da 464 euro a 1549, oltre che con il sequestro delle armi e – in caso di condanna – con la loro confisca e la sospensione del porto di fucile. Le violazioni ai divieti di cui alle lettere e) ed f) pure precitate, sono punite con il pagamento di 206 euro (se eseguito entro 60 giorni dalla contestazione).

A norma dell’art. 12, comma 2, della legge sulla caccia, «costituisce esercizio venatorio ogni atto diretto all’abbattimento o alla cattura di fauna selvatica mediante l’impiego dei mezzi» consentiti (fucile, nei tipi leciti). A tenore del comma 3 della stessa norma, «è considerato altresì esercizio venatorio il vagare o il soffermarsi con i mezzi destinati a tale scopo o in attitudine di ricerca della fauna selvatica o di attesa della medesima per abbatterla».

Ove l’esercizio venatorio sia finalizzato al compimento di altri reati (ad accertare, ad esempio, le abitudini di vita degli abitanti delle case di campagna, specie se isolate), i colpevoli incorrono nei relativi reati, tentati o consumati.


Opere abusive

9 settembre 2008

da www.ilsole24ore.com

Quesito: “Quale Direttore dei lavori ho ricevuto – insieme alla Proprietà ed alla Impresa esecutrice comunicazione di avvio del procedimento amministrativo sanzionatorio per opere abusive – sia sotto il profilo urbanistico che ambientale – in esito ad un verbale dell’ufficio tecnico del Comune ove si va realizzando una DIA di ristrutturazione e allestimento espositivo di un edificio vincolato. Le modeste e veramente piccole variazioni operate nel corso dei lavori rientrano ampiamente in quelle che la giurisprudenza definisce “varianti leggere o minori in c. d’o” . Esse sono state generate soprattutto dal fatto che – durante i lavori di opere interne, si sono attuati dei modesti aggiustamenti in ordine a forma e numero dei gradini di una scala, un vanetto sottoscala, una piccola lastricatura davanti all’ingresso etc.
Nel verbale dell’UTC compare anche qualche eccezione su errori nel rilievo metrico del fabbricato, di modesto rilievo, peraltro ininfluenti sui lavori eseguiti. A parte il merito, che ovviamente approfondirò negli atti che produrrò al comune, vorrei conoscere quale sia la prassi e la norma in base a cui sarà opportuno che io agisca, ad evitare problemi a me ed ai miei danti causa”.

RISPOSTA
1. Inquadramento normativo della fattispecie
L’art. 37 del t.u. in materia edilizia (d.P.R. n. 380/2001) stabilisce che “1. La realizzazione di interventi edilizi di cui all’articolo 22, commi 1 e 2, in assenza della o in difformità dalla denuncia di inizio attività comporta la sanzione pecuniaria pari al doppio dell’aumento del valore venale dell’immobile conseguente alla realizzazione degli interventi stessi e comunque in misura non inferiore a 516 euro”.
L’art. 36 del medesimo testo unico prescrive che: “1. In caso di interventi realizzati in assenza di permesso di costruire, o in difformità da esso, ovvero in assenza di denuncia di inizio attività nelle ipotesi di cui all’articolo 22, comma 3, o in difformità da essa, fino alla scadenza dei termini di cui agli articoli 31, comma 3, 33, comma 1, 34, comma 1, e comunque fino all’irrogazione delle sanzioni amministrative, il responsabile dell’abuso, o l’attuale proprietario dell’immobile, possono ottenere il permesso in sanatoria se l’intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda”.
2. Giurisprudenza
La presentazione della domanda di sanatoria (o accertamento di conformità) viene ad instaurarsi un nuovo procedimento che può culminare con il rilascio della concessione edilizia in sanatoria o con il rigetto della nuova domanda. In ambedue i casi viene meno la precedente situazione litigiosa perché essa verrà superata dal nuovo provvedimento del Comune che conclude il procedimento di sanatoria. Da esso conseguirà, infatti, o la soddisfazione dell’interesse del ricorrente, qualora venisse rilasciata la concessione in sanatoria, o l’instaurarsi di una nuova situazione litigiosa (con possibili diversi connotati) qualora venisse respinta la domanda di sanatoria. (T.A.R. Sardegna Cagliari Sez. II Sent., 12-03-2008, n. 424).
La necessaria determinazione comunale sulla domanda di condono rifluisce anche sul precedente procedimento (e conseguente provvedimento) sul richiesto accertamento di conformità, implicando l’integrazione del nuovo e definitivo assetto degli interessi attualmente involti in giudizio, peraltro in una prospettiva più ampia, comprensiva della possibilità di sanare, nella ricorrenza dei presupposti di legge, anche gli abusi in contrasto con la disciplina urbanistica vigente e non solo gli abusi “formali”, sanabili con il procedimento ex art. 13 L. n. 47/1985 (ed ora, art. 36 T.U. Edilizia). (T.A.R. Abruzzo L’Aquila Sez. I Sent., 25-02-2008, n. 87).
3. Conclusioni
Se l’affermazione della sussistenza nel caso di specie di sole variazioni leggere avrà un riscontro probatorio e potrà essere considerata giuridicamente fondata, allora potrà essere impugnato dinanzi agli organi della giustizia amministrativa (T.A.R.) il provvedimento comunale di avvio di procedimento sanzionatorio per opere abusive, nonché, se negativo e quindi confermativo dell’abuso edilizio, anche quello finale del procedimento de quo, al fine di ottenerne l’annullamento con sentenza giudiziale. Ciò perché, se quanto riferito è corretto, detti provvedimenti sarebbero illegittimi in quanto viziati quanto meno da eccesso di potere, travisamento dei fatti ed ingiustizia manifesta. In alternativa, è possibile comunque presentare istanza di sanatoria al competente ufficio comunale per ottenere quell’accertamento sanante di cui all’art. 36 del testo unico sull’edilizia, che, se rilasciato, legittimerebbe l’opera abusiva con estinzione delle sanzioni irrogate.

Avv. Raffaele Cusmai